Alcune delle uscite del grande industriale Riva, come lo definisce e per come le riporta Meletti, in questa intervista al Ministro dell'Ambiente, sono senza dubbio estrose: non bagna il parco minerario (per risparmiare) e ritiene che il rispetto ambientale (e dei cittadini di Taranto, aggiungo io) comporti spese voluttuarie che mettono l'azienda fuori mercato. Ho rimarcato la parola voluttuarie, perchè ha qualcosa dello spiritoso e del drammatico insieme. La parte spiritosa la comprenderete benissimo da voi, per chi non abita in quella zona e non respira quell'aria il problema ambiente non esiste e le spese per tutelarlo sono, appunto, voluttuarie e la battuta è facile da fare. La definizione di voluttuario è qualcosa di non necessario, superfluo. Ora, definire la tutela ambientale come voluttuaria (sempre che l'abbia detto, qui riporto le parole dell'intervistatore) e quindi come superflua significa, per estensione, considerare superflua anche la tutela della salute dei tarantini, che in quell'ambiente devono vivere. E questa è la parte drammatica. Però, come avrete capito, anche la parte spiritosa è drammatica anzi, forse lo è in misura maggiore.
La via intrapresa dall'azienda, come ci tiene a precisare Clini più volte, è quella del contenzioso, evidentemente consapevoli della palude nella quale ci si andrà a mettere affidandosi alla giustizia, per le note lungaggini dei procedimenti giudiziari. E' il vero e proprio problema della giustizia italiana, sia di quella civile che di quella penale, irrisolto e capace di allontanare gli investimenti e di ritardare ogni decisione.
Ilva, così com'è, non è in regola, dice il Ministro ma la possibilità di convincere l'azienda a intervenire fattivamente sono scarse, se si prendono per buone le prime mosse. Forse di tratta solo di pretattica, o forse ci si affida al contenzioso appunto perchè ci si aspetta che vada avanti per anni. In più, subdolamente, si sa di avere dalla propria parte tutti i lavoratori, tra operai e terzisti, che hanno già fatto capire come la pensano.
La sfida è enorme. Le grandi aziende, grazie al potere ricattatorio, confidano sempre nella chiusura di un occhio o anche di tutti e due da parte delle istituzioni, grazie alle carte che hanno in mano. Opporsi a questo stato di cose è la sfida: non accettare i diktat degli amministratori delegati e, nello stesso tempo, esercitare fin dove possibile l'arte diplomatica, la moral suasion, l'autorità istituzionale, insomma tutte le tecniche disponibili, compresa la leva economica, per indirizzare l'azienda verso un comportamento più probo. Non è possibile ribattere che l'adeguamento alle norme di rispetto ambientale fa saltare i costi e minaccia la concorrenza, specialmente se si considera che, come ripete il Ministro, l'Ilva utilizza una tecnologia vecchia di 50 anni, dal cui ammodernamento verrebbero sia la tutela ambientale che i risparmi. Dicevo che non si può affermare che l'adeguamento ecologico è un costo troppo alto per l'azienda, perchè questo è avvenuto e avviene a spese della salute dei cittadini di Taranto, specie di quelli del quartiere Tamburi, dove il Ministro, a domanda, risponde di non volerci far vivere un proprio nipote, cosa perfettamente comprensibile: e chi, potendo non farlo, lo farebbe vivere? Non ci trovo nessuno scandalo in questa affermazione. La cosa grave è che molti sono costretti a viverci, anche se non vorrebbero e quella più grave ancora è che nessuno, sapendo che ci vivono, abbia costretto l'azienda a mettersi in regola.
Di seguito l'intervista di Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano al Ministro dell'Ambiente Clini sulla questione Ilva, questione di non piccola portata. 12 minuti interessanti.
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