Questa mattina il Ministro degli Esteri Emma Bonino ha presentato alla Camera un'informativa sulla situazione in Turchia legata alla vicenda Gezi Park. Dalla relazione emerge che la manifestazione, iniziata in modo pacifico, si è trasformata in protesta per l'intervento sproporzionato della polizia turca. Ne offro un florilegio per argomenti, mentre l'intervento completo è disponibile qui.
I fatti. Intanto, i fatti: l'iniziale manifestazione a Istanbul del 31 maggio contro la ristrutturazione del Gezi park decisa dal Governo, era una manifestazione contenuta in termini di partecipazione e si caratterizzava come espressione pacifica dei cittadini. La reazione da parte della polizia – una reazione sproporzionata, come ammesso peraltro dalle autorità turche stesse – ha poi offerto l'opportunità anche ad altri gruppi di esprimere il loro disagio verso il Governo e verso alcune politiche del Governo. Da Ankara le proteste si sono propagate in numerose altre città e in uno scenario sempre più di contrapposizione con caratteristiche critiche verso il potere politico rappresentato dall'AKP. Inoltre, l'opposizione kemalista si è unita alle manifestazioni piuttosto che guidarle. In realtà, queste manifestazioni sono nate sostanzialmente – e lo dirò ancora dopo – come manifestazioni spontanee e limitate di parti diversificate della società.
Erdogan. A far sperare in un rasserenamento degli animi era stato il Presidente della Repubblica Gul, che ha esortato Governo e forze dell'ordine a rispettare il diritto dei manifestanti ad esprimere le proprie idee e a mostrare la necessaria sensibilità verso le opinioni di tutti. Il Vicepremier Arinch si è scusato per l'uso eccessivo della forza da parte della polizia ai danni dei dimostranti di Gezi park, e in parallelo il Ministro dell'interno Guler ha avviato inchieste per accertare responsabilità di amministratori locali e ufficiali di polizia. Rientrando della sua visita ufficiale in nord Africa, il Primo Ministro Erdogan ha definito necessarie le dichiarazioni di Arinch, ma successivamente il Governo di Ankara ha oscillato tra apertura di dialogo e segnali di chiusura, e il rischio è quello di una polarizzazione crescente. Dopo prime dichiarazioni in parte concilianti, il Primo Ministro sembra non escludere la via della prova di forza, scenario che comporta naturalmente rischi politici, oltre che umanitari, seri.
I rapporti UE-Turchia. Intanto, il 7 giugno si è svolta a Istanbul la prevista Conferenza sulle relazioni Unione europea-Turchia, organizzata dal Ministro per gli affari europei, Bagis, cui ha preso parte il Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato, Füle. Il Commissario ha invitato il Governo ad una maggiore apertura; ha indicato l'importanza di mirare alla coesistenza pacifica tra diverse concezioni e stili di vita; ha sottolineato che il dovere dei Paesi europei e di quelli che aspirano a diventarne membri è la piena adesione ai più elevati principi democratici; ha sottolineato altrettanto che la democrazia è una disciplina impegnativa, che richiede un impegno giorno per giorno; rafforzamento della democrazia e processo di avvicinamento all'Europa – ha detto ancora il Commissario Füle – sono due facce della stessa medaglia.
Più Occupy che Primavera. D'altra parte, onorevoli colleghi, mi pare che sia utile evitare l'errore di guardare alla Turchia con l'ottica offuscata da modelli ingannevoli. È vero che i social network sono stati il più efficace veicolo di comunicazione e il principale strumento dei manifestanti per organizzare queste iniziative, si è parlato, ed ho sentito parlare, di «primavera turca»; scusatemi ma non è così. I turchi non sono arabi, quindi cerchiamo di non fare paralleli troppo superficiali, e Taksim non è Tahrir. Anzi, queste manifestazioni, a guardarle in modo più puntuale, ricordano maggiormente quelle che abbiamo visto, anche imponenti, nelle nostre capitali. In qualche modo mi ricordano di più Occupy Wall Street, magari con una presenza molto più importante di istanze e richieste libertarie.
Le manifestazioni. Nelle manifestazioni ad oggi sembra mancare una regia ed una chiara leadership. I partecipanti sono in larga parte giovani, cittadini comuni, espressione di un'anima della società che si riconosce in una concezione maggiormente aperta dello Stato, desiderosa anche di uno stile di governo meno paternalista. I militari sembrano assenti dalla scena e i partiti di opposizione rimangono piuttosto defilati, forse non riuscendo ad offrire un'alternativa valida e credibile. In sostanza, a noi pare che questa sia l'espressione di chi non si riconosce in alcune scelte governative e nell'evoluzione più recente del partito dell'AKP.
Turchia democrazia matura? In realtà, la Turchia è chiamata a decidere se vuole diventare una democrazia matura. Il Governo italiano continua a credere fermamente nella prospettiva europea della Turchia e sono convinta che il processo di adesione all'Unione europea, se perseguito senza tentennamenti, possa avere un effetto benefico sulla dinamica politica del Paese. E, allora, se vogliamo sostenere il processo di democratizzazione della Turchia, dobbiamo continuare ad incoraggiarla sulla via dell'adesione a rispettare i principi di pluralismo e di democrazia. La nostra scelta è chiara: noi vogliamo una Turchia pienamente democratica in Europa e per raggiungere quest'obiettivo occorrono leadership lungimiranti da una parte e anche da parte europea.
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