lunedì 15 novembre 2010

Il finanziamento pubblico alla stampa: giusto o sbagliato?

fonte Nielsen Media tratta dal Giornalaio
Anche quest'anno, nel bene o nel male, è arrivato il finanziamento pubblico alla carta stampata. Non riesco a decidere se è una cosa giusta o ingiusta. 
180 sono i milioni di euro che secondo Il Fatto Quotidiano (che non riceve finanziamenti, precisa) la Finanziaria ha destinato all'editoria, con una pioggia di euro che investe un po' tutti.
Per esempio l'Avanti, che a quanto dice Il Fatto sembra vendere 3500 copie al giorno e beneficia di 2,5 milioni giusti giusti quelli che servono a coprire il disavanzo.
Oppure Il Manifesto, che riceve 4 milioni anche se a fronte di un disavanzo di 19, o il Secolo XIX, che vende 1.800 copie ed è in perdita di 1 milione, o ancora Il Roma, con debiti per 7,5 milioni e aiuti per 2,5.
Insomma, chi più chi meno, tutti sembrano beneficiare degli aiuti di Stato: ma è giusto?
Una libera stampa è un requisito fondamentale per uno Stato che vuole definirsi democratico, su questo non ci sono dubbi. Anche la varietà di editori è un fattore importante per non rischiare un monopolio di pensieri e opinioni. Però c'è anche il legittimo sospetto che molti giornali o giornalini di partito, che non legge nessuno, nemmeno gli iscritti, sfruttino la situazione per fare cassetta, per mettere su un'attività e guadagnare qualcosa con i finanziamenti pubblici, tanto paga Pantalone.
E' una cosa ben diversa la difesa della stampa dal finanziamento indiscriminato di ogni testata, anche quelle di partito, anche le più microscopiche. Del resto, è anche difficile scegliere tra un giornale famoso e un piccolo quotidiano della provincia: a chi dare i soldi?
Scelta non semplice. In prima istanza sarei per non darli a nessuno, tanto per non creare ingiustizie, e semmai intervenire in maniera indiretta per favorire quelle testate che si trovano in difficoltà. Ma anche così, per non fare torto a nessuno, bisognerebbe estendere gli aiuti indiretti a tutta la categoria. Per aiuti indiretti penso a tutti quegli interventi nei quali non  è previsto un impegno  finanziario in moneta sonante ma che riguarda aspetti della gestione economica delle imprese: riduzione di oneri, facilitazioni alla diffusione e così via.
Non ultima, tra le ipotesi da considerare, anche una perequazione pubblicitaria con il competitor per eccellenza, la televisione, nel senso di fissare un tetto alla raccolta pubblicitaria televisiva rispetto alla carta stampata. Anche se questa manovra favorirebbe solo le testate più famose,  quelle più appetibili per gli sponsor, pure solleverebbe lo Stato da un impegno oneroso.

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