lunedì 21 marzo 2011

La campagna d'Africa, l'America e la Cina

photo bluewin
Lucia Annunziata, sulla Stampa, in un articolo intitolato La campagna d'Africa di Barack Obama, mette sull'avviso dal pericolo di farsi ingannare da quello che passa in televisione in questi giorni, in merito ai fatti libici. L'intervento americano in quella terra farebbe parte, oltre obbedire a intenti umanitari, di una precisa strategia per (ri)conquistare l'influenza sulle aree del Mediterraneo e sull'Africa in generale, secondo quanto ipotizza l'Annunziata. Specialmente dopo che la Cina ha allargato la propria, di influenza, su quel continente. E anche in quest'ottica devono leggersi i movimenti di Francia e Inghilterra, tesi cioè a consolidare o mantenere il controllo del Mediterraneo, da sempre europeo più che americano.
Se l'ipotesi è esatta si presta a una doppia lettura. 
La tesi non è certo peregrina, anche perchè questi grandi interventi sono spesso avviati da più di un movente. Però la Cina non usa i bombardamenti ma il business per aumentare la sua influenza africana. Afghanistan e Iraq dovrebbero pur  insegnare qualcosa. Non che tutti gli scenari  debbano per forza assomigliarsi, ma nelle situazioni conflittuali che non arrivano a soluzione è difficile fare affari.
E' chiaro che l'America ha interesse a mostrarsi protagonista dei cambiamenti e ha, per così dire, preso la palla al balzo delle rivoluzioni, a meno di non ipotizzare il suo zampino nell'accendersi delle rivolte. Stare dalla parte di chi chiede la libertà è un modo di acquisire una buona reputazione, anche questo in ottica anti-terrorismo di matrice islamica. Farsi benvolere, mostrando di aiutare le popolazioni schiacciate dal tacco dittatoriale, da parte di dittatori poco musulmani. Afghanistan a parte infatti, sia Iraq che Libia erano tra gli stati meno integralisti della zona. Acquisire una buona reputazione agli occhi dell'opinione pubblica africana e mediorientale fa parte, credo, di una strategia di accrescimento della propria influenza e di miglioramento della propria immagine. E si sa che l'immagine americana è molto deteriorata in quei paesi.
L'una cosa non esclude l'altra. Pure, l'intervento congiunto americano ed europeo è una cosa giusta? Oppure obbedisce unicamente alle logiche della realpolitik?

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