L'anno scorso, di questi tempi, da vero guastafeste, pubblicavo qualche flash dal mondo sul giorno di Natale: c'erano i linciaggi ad Haiti, gli attacchi ai cristiani nelle Filippine, l'attentato suicida in Pakistan. I protagonisti, forse inconsapevolmente o forse no, facevano di tutto perchè quella fosse una data da ricordare, almeno per chi rimaneva vivo.
Quest'anno no, questo Natale non voglio fare il guastafeste, questa volta farò diversamente: scriverò un vero e proprio necrologio del Natale, ma di quello religioso non di quello pagano.
Ogni inizio secolo è tumultuoso. Il XX ha visto succedersi due guerre, inframezzate da una crisi economica e dall'avvento di dittature, il XIX ha visto l'ascesa e la rovina di un imperatore, la dominazione austriaca e così via, fino ad arrivare agli inizi del nostro secolo che, se vede guerre e guerriglie in giro per il mondo in formazione sparsa e alle quali siamo ormai abituati, nel vecchio continente fa assistere a un genere di tumulti che si combatte senza fucili: quelli derivanti dalla crisi finanziaria.
Si sostiene che il merito -la meritocrazia- è un sistema di distribuzione degli onori tra i più democratici e funzionali, ma non si chiarisce a sufficienza l'ambito di questi meriti. Mentre si è quasi tutti d'accordo nell'escludere dalla classe dei meriti quelli francamente illegali vi è meno chiarezza -anche all'interno di una stessa testa- su che cosa debba riguardare, in concreto, il merito. Se la maggior parte degli osservatori è concorde nel definire meritevole chi sia in grado di risolvere un'equazione o curare una ferita, far crescere una pianta o preparare il pane, quelle stesse teste pensanti sarebbero in difficoltà nel giudicare, per esempio, la meritorietà di chi sapesse pubblicizzarsi bene, di chi fosse maestro nelle pubbliche relazioni e, grazie a queste, potesse ottenerne onori. E' meritevole di un posto ben pagato chi, senza commettere illeciti ma utilizzando solo le proprie capacità di convinzione, ottiene un posto ben remunerato?
Non è forse un merito quello di sapersi valorizzare anche se non si sa fare niente?
Mi sono sempre chiesto, ingenuamente: chi ha stabilito, a suo tempo, lo stipendio dei dipendenti e dirigenti pubblici, da quello più alto in grado a quello più basso? Perchè vi è così tanta differenza? Questione di competenze e responsabilità, si dirà. Ebbene, a costoro rispondo: ma di quale competenze e di quale responsabilità si parla? Se l'Italia più d'altri soffre la crisi economica e finanziaria sarà mica colpa di chi sta in basso e non decide mai niente? Se l'Italia soffre non sarà forse perchè chi dirige non è poi così competente? E se per caso viene cacciato, del resto senza che si assuma nessuna responsabilità del disastro, lo fa con tanto di enormi liquidazioni e ricomincia a far danni da un'altra parte. Se gli alti dirigenti sono coloro che, per merito presunto o reale, ottengono i migliori trattamenti economici e il bastone di comando, se le cose vanno male non sarà per caso colpa di chi le decisioni non le prende e non gli è consentito prenderle?
Io credo che la risposta alla domanda che ponevo sopra sia già stata data indirettamente dal funzionamento a livello dirigenziale della nostra povera Italia: ho come la sensazione che la classe dirigente venga scelta per la sua capacità di autopromuoversi, e non per specifici meriti.
Il papa, bontà sua, ieri sul Corriere dice -o il giornalista gli fa dire-
«Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità»
Ed è vero, ma è vero da quasi sempre. Non che in questo essere vero si racchiuda solo e sempre un comportamento disdicevole. La festa è donare, altrimenti non rimane niente. Che festa sarebbe quella in cui non si prepara niente di speciale a tavola, si lavora come al solito, non ci si fa gli auguri e non si riceve nessun regalo? Una non-festa. Il papa deve sapere, perchè è una strategia che utilizza anche la religione, che il momento che deve essere bello deve essere accompagnato da qualcosa di gioioso: per molti questa gioiosità è legata al consumismo, ma non possiamo fargliene una colpa assoluta. E' nella nostra natura di umani. Da sempre, i momenti cosiddetti ricordevoli, si devono accompagnare a qualcosa che dà gioia, altrimenti il ricordo e l'aspettativa di quell'evento svaniscono.
Anche la chiesa, per raccogliere l'adesione dei fedeli, deve legare l'evento a qualcosa di piacevole: non potendolo che fornire in via temporanea in questo mondo, nei momenti di festa, deve per forza crearne un altro in un altro mondo, instillando l'aspettativa di questa ricompensa di lungo periodo come una premiazione solo dilazionata ma certa. E infatti non promette mica le fiamme dell'inferno a chi si comporta cristianamente, ma la beatitudine del paradiso.
E allora, caro papa, è vero che un eccesso di materialismo desensibilizza ma, in chi sia naturalmente dotato di poca spiritualità, in momenti come questi, dove si restringono le possibilità di premiarsi, criticare anche quel poco che ci si permette la considero un'operazione crudele. Tutta la nostra vita è basata sullo stare bene: da quel paradiso evocato dai preti alla tavola imbandita, dal tepore del focolare alla carezza dell'amante. Non possiamo fare a meno di quelle vetrine luccicanti a meno che non aumenti il nostro livello di spiritualità e non aumenterà finchè sarà rinfocolato dal materialismo dell'ingiustizia.
L'asceta, l'uomo spirituale, il pensatore, magari sanno rinunciare a qualcosa o a tutto delle gioie terrene, ma solo perchè le sostituiscono con gioie ultraterrene: non si può sostituire il terreno con il niente.
In questo ha ragione Benedetto XVI.
Ma perchè ho la sensazione che parli sempre per noi? Per noi che non decidiamo mai niente, voglio dire. Come facciamo noi a riacquistare, se mai l'abbiamo posseduta, la fiducia in colui che regola il mondo o nel mondo in genere, se questo colui o questo mondo sono tutto fuorchè giusti? Non è a noi e alle nostre piccole debolezze che deve indirizzare il suo richiamo, noi siamo piccoli in tutto. E' a chi siede nelle stanze dei bottoni, a chi ha creato e ha mantenuto le diseguaglianze, a chi ha tolto al povero per dare al ricco, a chi è responsabile dell'incrudelimento, della rabbia, è a costoro che deve essere indirizzato il suo messaggio, caro papa, e lo deve essere in maniera chiara, sfidando il potere terreno a viso aperto, senza nascondersi dietro il paravento della diplomazia.
Sia coraggioso una buona volta, come lo erano gli antichi cristiani di fronte ai loro aguzzini: sfidi l'autorità costituita che non se ne vuole andare, si batta apertamente per quella poca giustizia che si può ottenere sulla terra e avrà proseliti anche per l'altra giustizia, molto più giusta, nei cieli. Osservare le diseguaglianze in atto è la peggiore medicina per diventare spirituali: noi non possiamo diventare spirituali mentre i governanti e i ricchi ingrassano a spese nostre. Sia gli uni che gli altri, con tutta probabilità, sono riusciti ad ottenere tutto ciò che hanno grazie a quell'unico merito, quello di cui dicevamo all'inizio, che non si sa se mettere o meno tra le cose meritevoli, tra gli effetti della meritocrazia.
Questo è il Natale, allora. Una via di mezzo tra una consolazione gastrica e un brivido alla messa cantata di mezzanotte, tra un appagamento visuo-olfatto-gustativo e una lettura meditata. Non ci si può chiedere di rinunciare a tutto il terreno per pascerci solo dello spirituale, non almeno finchè i nostri occhi potranno vedere l'imperante ingiustizia. Un solo giorno di un dirigente pubblico -pagato da noi- vale quanto un anno di stipendio di uno di noi. A che serve che costui sia, a parole, così devoto e pio, quando non lo è negli atti. Può la chiesa accontentarsi dell'apparenza? Perchè in quel caso, con un Dio del genere, la faremmo franca in molti.
Dunque, io rivendico la futilità e le vetrine luccicanti che ci sono a Natale, perchè il viatico verso una santità che non dovrebbe esserci richiesta lo compiamo ogni giorno, per esempio non eliminando questa casta e tutti i disgustosi privilegi di cui si circonda. Quanto al resto, non siamo certo noi i Bush della situazione che vogliono andare alla guerra: ci è sufficiente uno spiraglio per continuare a sperare.
Lasciateci almeno l'aspetto commerciale del Natale. (E comunque, buon Natale a tutti).
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