sabato 18 settembre 2010

IV. Della realtà e della fantasia

Come si distingue la realtà dalla fantasia?
È semplice: la realtà ha caratteristiche tali, di percezione, di propriocezione, di ideazione, di “essere nel mondo” tali per cui si distingue facilmente da una fantasia, che ha una intensità notevolmente inferiore. Tanto è vero che, invece, quando qualche fantasia acquista una intensità sufficiente diventa una “realtà”, anche se allucinatoria.
Un buon metodo per distinguere la realtà da semplici attivazioni spontanee nel cervello, non correlate alla realtà, è secondo me  quello di dotare l’animale di una coscienza.
La coscienza crea qualcosa rispetto al quale esiste il mondo. Tutti i segnali che sono in grado di manifestarsi come circuito rappresentano una realtà e diventano coscienza. Cioè, la coscienza non è qualcosa che possiede l’organismo per filtrare i segnali, la coscienza è il risultato della somma di tutti i segnali che formano circuiti cerebrali che arrivano ad una uscita (motoria).  Si sa che l’uscita motoria può essere anche virtuale (neuroni specchio).
L’emozione è dunque un facilitatore di circuiti: un circuito aiutato da un’emozione ha una intensità nettamente superiore agli altri. Tutte le attivazioni che fanno parte di un circuito emotivo partecipano all’effetto memoria: per esempio, se qualcuno che ci aggredisce indossa una sciarpa rossa, la sciarpa rossa, da sola, in un’altra occasione, è in grado di scatenare il ricordo. La coscienza si forma e si trasforma.
Ma in questo suo trasformarsi mantiene la propria identità, fa cioè riferimento sempre allo stesso individuo. Un notevole esempio della formazione e trasformazione nel mantenimento identitario la si osserva nei casi di split brain, cervello diviso, in cui in seguito a un’operazione di divisione del cervello come la commissurectomia a causa, per esempio, di epilessia intrattabile, il paziente osserva il formarsi di due identità distinte, quelle rappresentate dai due emisferi, le quali sono spesso in conflitto tra loro per quanto riguarda le uscite motorie.
Un aspetto interessante da chiarire è per me questo. L’emozione esiste come tale solo quando la collochiamo in uno spazio, il quale possa essere agito. Se questo non è possibile non è che non proviamo niente, o meglio, possiamo non provare niente ma possiamo anche provare qualcosa di indefinito, che non sappiamo nemmeno definire se è piacevole o spiacevole (vedi Dell’alessitimia).
Quando noi vediamo un pericolo e ci spaventiamo questo avviene perché noi già conosciamo gli eventi, li abbiamo già collocati e possiamo agirli, quindi l’evento fa parte del repertorio di cose che conosciamo: saranno alcune sue caratteristiche a scatenare la risposta emotiva che faciliterà la decisione appropriata, come il riconoscimento sensoriale (per esempio la percezione del soggetto di questo evento potrebbe scatenare una risposta emotiva in ogni situazione), oppure la repentinità dei movimenti, l’esordio improvviso e via dicendo. Ognuno di questi elementi è in grado di scatenare una risposta emotiva. Perché avviene e come avviene?
Dipende dalla variazione rispetto alla norma. Si immagini di osservare un paesaggio che non muta nel tempo. La disposizione dell’animale che osserva questo paesaggio è quella che potremo definire tranquilla. Siccome il cervello ricostruisce lo spazio per agirvi e il tempo come anticipazione, l’anticipazione dell’animale sarà comunque positiva. Egli si aspetta che nei prossimi minuti gli eventi si susseguano come nei minuti precedenti.
L’apparizione di un predatore, inaspettata, scompagina la sua anticipazione positiva degli eventi. Questa è un' emozione. Al tempo. L’apparizione di un predatore è sempre emotivamente dotata perché il predatore rappresenta sempre qualcosa che significa una variazione inaspettata (o meglio, indesiderata).
Lo stesso effetto l’avrebbe scatenato, per dire, un rumore improvviso, oppure l’apparizione improvvisa di un altro animale, anche se non un predatore. La variazione rispetto alla norma è sempre potenzialmente in grado di scatenare una risposta emotiva.

6 commenti:

  1. ...è un tema molto interessante...

    in realtà il cervello non è in grado di riconoscere spontaneamente la fantasia dalla realtà: per esso sono "potenzialmente" la stessa cosa,per farlo deve adottare degli stratagemmi: per esempio incorniciare il ricordo, renderlo in bianco e nero piuttosto che a colori, dissociato piuttosto che associato, etc..

    il tuo riferimento alla coscienza e, come la somma di tutti i segnali che formano circuiti cerebrali è un ragionamento interessante...

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  2. Ciao Paolo,
    ...Tanto è vero che, invece, quando qualche fantasia acquista una intensità sufficiente diventa una “realtà”, anche se allucinatoria...
    sono proprio d' accordo con te.
    ...il tuo riferimento alla coscienza e, come la somma di tutti i segnali che formano circuiti cerebrali...
    qui non sono completamente in sintonia perchè credo che l' umano nasca già con un carico di esperienze emozionali forse insite nel DNA ( non vedo il neonato solo impulsivo come quello descritto da Freud)
    Per terminare i segnali che formano circuiti cerebrali( cioè le emozioni se ho capito bene)io li immagino un po' come il funzionamento della memoria...a rovescio ( le emozioni si sopportano meglio in gioventù, i ricordi si imprimono meglio da giovani, le prime si acuiscono con gli anni, i secondi si affievoliscono)
    Ciao Paolo, spero tu riesca a districarti in ciò che volevo dirti, perchè non è ben chiaro neanche a me.
    ^_^

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  3. Non saprei spiegare il motivo, ma la lettura delle prime righe di questo interessante articolo mi ha subito evocato "Il treno ha fischiato" di Pirandello:
    Belluca,il protagonista, vive la realtà quotidiana, fatta di lavoro e di soprusi all'interno di un ufficio. All'improvviso la fortissima emozione del fischio di un treno, quello della fantasia, gli fa intuire l’esistenza di un’altra vita, molto diversa da quella reale,che lo fa evadere nel mondo dell’immaginazione. Ma questa fantasia è così intensa che diventa la sua nuova realtà, evidentemente allucinatoria e scambiata per follia.
    ....Boh!
    D'altra parte adoro così tanto Pirandello che lo vedo dappertutto.
    Complimenti e grazie per il post!
    maria I.

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  4. joe, diciamo che potenzialmente, sulla prima affermazione, hai ragione: il cervello non sarebbe in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Ma comunque ci riesce. E' più facile, però, che l'errata interpretazione coinvolga la coscienza verbale, forse per una più sfumata definizione dei limiti di ciò che è possibile e ciò che non lo è.


    Teo, siamo coscienti solo di ciò che emerge a galla, ma quello di cui non siamo coscienti pure influenza le nostre scelte. E' stato dimostrato per esempio con la visione cieca.
    Le esperienze emozionali di cui è dotato l'umano sono quelle che appartengono a quasi tutti gli animali paragonabili, penso ai mammiferi, di pari dimensione, con un cervello simile e sistemi d'accudimento identici.
    Il problema riguarda la coscienza verbale, che deve spiegare tutto, e in più è in grado di segmentare delle emozioni simili fornendo un substrato concettuale diverso. in fondo le emozioni sono molto simili ma le differenti situazioni (anche cognitive) le rendono molto diverse.

    Mi sono andato a rileggere quella novella di Pirandello, disponibile on line. Come al solito, Pirandello inserisce un costrutto etico, fornisce un risvolto umano, in questo caso il riscatto, la liberazione dal giogo.
    Però il legame che tu trovi tra l'emozione del fischio, che scatena una risposta interna, e la elaborazione cognitiva, che evidentemente era sotterranea ma non trovava combustibile, è valido e interessante. Maria, sei arruolata: brava!

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  5. joe, diciamo che potenzialmente, sulla prima affermazione, hai ragione: il cervello non sarebbe in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Ma comunque ci riesce. E' più facile, però, che l'errata interpretazione coinvolga la coscienza verbale, forse per una più sfumata definizione dei limiti di ciò che è possibile e ciò che non lo è.


    Teo, siamo coscienti solo di ciò che emerge a galla, ma quello di cui non siamo coscienti pure influenza le nostre scelte. E' stato dimostrato per esempio con la visione cieca.
    Le esperienze emozionali di cui è dotato l'umano sono quelle che appartengono a quasi tutti gli animali paragonabili, penso ai mammiferi, di pari dimensione, con un cervello simile e sistemi d'accudimento identici.
    Il problema riguarda la coscienza verbale, che deve spiegare tutto, e in più è in grado di segmentare delle emozioni simili fornendo un substrato concettuale diverso. in fondo le emozioni sono molto simili ma le differenti situazioni (anche cognitive) le rendono molto diverse.

    Mi sono andato a rileggere quella novella di Pirandello, disponibile on line. Come al solito, Pirandello inserisce un costrutto etico, fornisce un risvolto umano, in questo caso il riscatto, la liberazione dal giogo.
    Però il legame che tu trovi tra l'emozione del fischio, che scatena una risposta interna, e la elaborazione cognitiva, che evidentemente era sotterranea ma non trovava combustibile, è valido e interessante. Maria, sei arruolata: brava!

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  6. ...è un tema molto interessante...

    in realtà il cervello non è in grado di riconoscere spontaneamente la fantasia dalla realtà: per esso sono "potenzialmente" la stessa cosa,per farlo deve adottare degli stratagemmi: per esempio incorniciare il ricordo, renderlo in bianco e nero piuttosto che a colori, dissociato piuttosto che associato, etc..

    il tuo riferimento alla coscienza e, come la somma di tutti i segnali che formano circuiti cerebrali è un ragionamento interessante...

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