martedì 28 agosto 2012

Tassa su bibite alcoliche e analcoliche e multe per fumo ai minorenni

C'è un aspetto controverso nella bozza in preparazione al Ministero della Salute e che sarà presentata al prossimo Consiglio dei Ministri di fine mese, e riguarda due provvedimenti allo studio, quello sulla tassa sulle bibite alcoliche e analcoliche e quello sulla multa per chi vende sigarette ai minori di 18 anni.
E' lo stesso aspetto contraddittorio che coglie sempre le istituzioni quando con una mano permettono e con l'altra proibiscono. Parlo di due tra le più discusse e dannose, ma legali, abitudini degli umani, fumo e alcol, a cui si può aggiungere quella, infinitamente meno nociva, delle bevande analcoliche zuccherate.
Poco contano  i tre provvedimenti in sè: tassa di 7,16 euro a carico dei produttori, ogni 100 litri di bevanda, e di 50 euro ogni 100 litri per gli alcolici oppure sanzione pecuniaria di 1.000 euro a carico di chi vende sigarette ai minori. L'essenza della questione è legata al duplice ruolo dello Stato quale spacciatore di alcolici e tabacchi e, al tempo stesso, dissuasore dall'acquisto.  E' un ruolo che è sempre stato contraddittorio e che viene fuori in maniera ancora più forte quando intervengono nuovi strumenti di dissuasione come queste probabili nuove tasse.

Lo Stato svolge un ruolo di controllo ed impone una specifica tassa di monopolio su tabacchi e alcolici, mentre gestisce direttamente il gioco legale. Gli introiti da queste attività sono notevoli: secondo i dati Istat lo Stato nel 2010 ha incassato circa 11 miliardi dai tabacchi, 12 dal gioco legale e circa 1 miliardo da accise su spiriti e birra, in totale quasi 24 miliardi.
All'osservatore attento non sfuggirà, comunque, primo che lo Stato guadagna da ogni transazione e, secondo, che il proibizionismo, almeno in certi settori, ha dimostrato di essere poco efficace. Infatti, nonostante i tabacchi siano controllati dallo Stato esiste un fruttuoso mercato illegale, così come per il gioco d'azzardo. Ma, sono convinto che al giorno d'oggi relegare i tabacchi nel novero delle sostanze proibite non sarebbe impossibile a causa delle scappatoie trovate da consumatori e spacciatori (si veda, per esempio, il consumo di droghe) quanto per la fortissima opposizione che ne verrebbe dalle industrie di produzione. E si consideri che, insieme alle industrie, come insegna il caso Ilva, si parla anche di centinaia di migliaia di lavoratori.
Ecco dunque che lo Stato è, in alcuni settori come quelli del tabacco e dell'alcol, in una situazione contraddittoria ancorchè imbarazzante: contraddittoria perchè, come detto, da una parte dà e dall'altra toglie e imbarazzante perchè, se anche volesse, ormai, stante la forza delle aziende del settore, non potrebbe fare più niente.

Ecco quindi che non appare priva di senso l'ipotesi di un deterrente al consumo, sotto forma di tassa diretta o indiretta. Va da sè che una nuova imposta gravante sul produttore finirà per pesare sul consumatore. Nel caso delle bevande voluttuarie a base di zuccheri, co-responsabili (nonostante il parere diversissimo di produttori) dei problemi di obesità, lo Stato non è direttamente coinvolto nel controllo della distribuzione del prodotto come avviene per i tabacchi e dunque il suo intervento è da leggersi in duplice lettura: deterrente al consumo (già osservavo qui di scarsa efficacia, se non psicologica) o come risorsa da destinare alla cura delle patologie in qualche modo collegate al consumo eccessivo di queste bibite, come diabete di tipo II e obesità.
Potremo definirla una sorta di assunzione di responsabilità differita. Il senso dell'operazione è legato al modello di assistenza sanitaria italiano, in molti casi gratuito per tutti. Ora, il razionale di queste manovre dovrebbe risiedere appunto nella responsabilizzazione dei propri atti che, nel caso dell'imposta, è spostato sul versante economico. Consumare alimenti che nuocciono alla salute costringe lo Stato a imporre una tassa che permetta la cura di quanti si ammalano per una scorretta alimentazione o per un'eccessiva  assunzione di sostanze voluttuarie.

Al tempo, però: la premessa è buona, ti tasso per compensare le cure mediche che le tue condotte sconsiderate richiedono, ma i presupposti implicano altre conclusioni. Invece di compensare le abitudini sbagliate dei consumatori non sarebbe il caso di  modificare i prodotti alla fonte? 
Il discorso però diventa subito spinoso. E' vero che probabilmente, per quanto riguarda le bibite analcoliche, può essere ridotta la quantità di zucchero presente o sostituita con un dolcificante acalorico, ma avremmo due prodotti diversi, forse meno vendibili, e si ripresenta il problema di quanti lavorano nel settore. Lo stesso ragionamento può farsi per gli altri settori: tabacchi con meno sostanze nocive, bevande alcoliche a bassa gradazione e vincite nei giochi legali molto più limitate. 
E' da considerare, però, con la parziale eccezione dei giochi legali, che i produttori di tutte le altre sostanze devono competere, spesso, in ambito internazionale. Una mancata armonizzazione delle normative tra i vari  paesi potrebbe implicare delle condizioni ambientali sfavorevoli dal punto di vista commerciale, con i risvolti economici fatti sopra. 

Resta però il nodo generale da sciogliere: le istituzioni devono tutelare la salute pubblica, perciò essere in qualche modo coinvolti con l'erogazione o il commercio di sostanze potenzialmente molto pericolose mal si addice con i presupposti di base. Lo Stato, per trarsi fuori dall'impaccio, potrebbe liberarsi anche dell'unico monopolio vero e proprio, il gioco legale, e a quel punto potrebbe trattare tutte le attività economiche alla pari, tassando, quando non può proibirle, quelle che sono più nocive per la salute. E in realtà, come è facile immaginare, non tutte le situazioni esaminate sono sullo stesso piano. L'abitudine del fumo, per esempio, oltre ad essere una delle più pericolose per la salute, è anche una delle più insensate, basata com'è unicamente sulla dipendenza causata dalla nicotina  rispetto, per esempio, all'alcol, pure lui in grado di causare dipendenza, ma al quale si possono riconoscere alcune qualità. Discorso diverso per le bevande zuccherate e per il gioco legale.

Alcune considerazioni per finire. Vi è, nel comportamento compulsivo di molti consumatori l'idea che le persone, sovente, non siano padrone dei loro comportamenti. Se gli insegni a fumare e a bere , fumeranno e berranno sino a morirne, anche se informati sull'estrema pericolosità di queste pratiche. Perchè insegnargliele, allora? Con il gioco legale accade quello che in passato è accaduto con i tabacchi. Lo Stato monopolista introduce il consumo, che poi cede a terzi. Intanto, ci si occupa della salute di chi, per troppo uso o disposizione individuale, con quel consumo si ammala. Vi è un che di perverso, se ci si pensa. Ma è pure noto che, arrivate a un certo punto, le cose non sono più facilmente modificabili. Saremmo d'accordo nell'eliminare il gioco legale, salvando quelle migliaia di persone che contraggono la ludopatia, però vederci aumentare di uno o due punti l'Iva per compensare quell'introito? E ancora, saremmo meno liberi se non avessimo la possibilità di bere, fumare e giocare? La loro introduzione rispondeva a necessità, come dire, ampliative delle libertà individuali oppure erano semplicemente misure per fare cassa?

La sensazione è che la matassa si ingarbuglia. Non sfugge però alla riflessione il fatto che, dopo tutto, appare esserci qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo Stato affronta tutta la questione: dall'immissione in commercio, alle misure per scoraggiare il consumo.


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